Un numero esponenziale di stolti, disinformati, superficiali e cialtroni, palesi anche tra gli operatori del beverage, hanno spesso sostenuto a parole e per scritto che il vero nemico di Bacco fosse Gambrinus, ossia che in Italia lo sviluppo dei consumi dei vini fossero seriamente compromessi da quelli della birra. Idiozia marchiana. In primis perché da 30 anni di birra non si è mai superato un consumo pro-capite di 28,5 litri, poi perché trattasi di bevande talmente diverse che ogni raffronto è ineseguibile.
In sintesi, questo era il pensiero di Franco Re, un uomo, o meglio un personaggio che della birra, anzi delle migliaia di tipologie di birre che si producono in ogni angolo di mondo, sapeva tutto, ma proprio tutto, e mai, neppure larvatamente, ha pensato di contrapporle al vino. Re è venuto a mancare, nella sua Azzate, lo scorso 18 luglio.
Nella sua intera vita si è speso in centinaia di convegni, seminari, simposi e ovunque fosse chiamato a dimostrare la quintessenza di entrambe le bevande/alimento. Civettuolamente rammentava comunque che la birra è l’alcolico più vecchio del mondo e non ha, non come molti credono, radici germaniche ma da ricercare in Mesopotamia presso il popolo dei Sumeri e che la sua produzione iniziò già nel quarto millennio avanti Cristo, quindi un bel po’ prima del vino, e che è diffusa in ogni terra emersa del nostro pianeta. Tuttavia, al di là di questa precisazione affatto polemica, Franco Re conosceva anche il vino che apprezzava, sapeva riconoscerne e ne godeva profumi e sapori.
Certo non come la birra e la sua ultramillenaria cultura, che Re ha voluto valorizzare fondando addirittura ad Azzate (Va) la prima e unica Università della Birra riconosciuta dalla Regione Lombardia e dallo Stato. Per ottenere ciò è stato coadiuvato anche dalla sua cultura davvero vasta, tre lauree, cinque lingue parlate e scritte, una loquela dotta, brillante comprensibile da tutti, affabulatore geniale e un look da guru che affascinava.