Se i trend attuali non cambiano nel 2050 sulla terra saremo 9,8 miliardi di persone (contro i 7,6 attuali), cioè il 30% in più. Il 68% vivrà in aree urbane (oggi è il 55%) e avremo 2,4 miliardi di auto circolanti (oggi sono 1,1).
Le emissioni di Co2 arriveranno a 43 miliardi (con un 26% in più) e i raccolti caleranno del 10% a causa di eventi climatici e degrado del suolo. Anche se noi italiani siamo molto concentrati (e spaventati) sul nostro presente, il Rapporto Coop 2018 parte da una visione ampia delle cose, proprio per ricordare a tutti che ogni scelta che facciamo (oggi) deve tener conto delle ricadute che produrrà su un futuro non lontano e piuttosto complicato. «La necessaria riflessione sul domani – spiega Albino Russo, curatore del Rapporto e direttore di Ancc-Coop – si scontra con il dato di diseguaglianze che continuano ad accentuarsi e che negli ultimi anni hanno colpito anche la classe media dei paesi sviluppati». Se tanto, anche in paesi come Cine e India si sta muovendo, resta il fatto che il Pil procapite in India è di 6 mila dollari, in Cina e Brasile di 14 mila, contro i 34 mila di Italia e Spagna, i 38 mila della Francia, i 44 mila della Germani e i 53 mila degli Stati Uniti. Se poi si va a guardar dentro ai singoli paesi si scopre che le diseguaglianze (calcolate in base all’indice Gini dove zero è il massimo di eguaglianza) sono più alte specie in Italia (0,333), Spagna (0,345) e Usa (0,391), rispetto a Danimarca (0,263), Svezia (0,282) e anche Francia (0,295) e Germania (0,293). Sul piano dei consumi l’Italia arranca: dal 2007 a oggi la perdita di potere d’acquisto è stata pari a 81 miliardi di euro. Di questi 31 miliardi mancano ancora ai consumi complessivi, gli altri 50 sono venuti meno ai risparmi. Da questo quadro complicato il Rapporto Coop prova a individuare alcune tipologie di comportamento degli italiani, suddividendo la popolazione in 4 gruppi: c’è un 17% di “esploratori”, la parte più benestante e dinamica, pronta a sperimentare nuovi stili di vita; poi ci sono un 39% di “curiosi”, interessati al futuro ma più pragmatici e con meno ansia di innovare; poi c’è un 19% di “tradizionalisti” che si accontentano di una quotidianità serena e sicura; infine c’è un 26% di “nostalgici”, cioè persone insoddisfatte, preoccupate del futuro e dunque che rimpiangono ciò che avevano nel passato. Chiaro che questa classificazione è strettamente legata al reddito, ma anche al livello culturale con una ricaduta diretta nello spostare i comportamenti sull’asse tra benevolenza e rancore. Se la politica, i partiti, assieme a banche e sindacati svettano nella “lista nera” dei meno amati, c’è però un tema su cui invece c’è una positiva sensibilità in aumento ed è quello dell’ambiente. «Gli italiani – spiega Albino Russo – sono primi in Europa come sensibilità su questo fronte. Un 90% di persone ritiene che l’ambiente abbia effetto diretto sulla qualità della vita, contro una media europea del 76%. In più un 57% di concittadini dice di aver cambiato le sue abitudini per ridurre l’inquinamento, agendo sugli spostamenti, sulle abitudini in casa o sui consumi alimentari». Un altro fronte su cui gli italiani primeggiano è quello del cibo. Pur in un quadro di consumi stagnanti, con 2.428 euro pro-capite all’anno, siamo davanti a Francia (2.353 euro), Germania (2.019 euro) e Spagna (1.817 euro) per acquisti. Analizzando i diversi comparti, se forse non stupisce che siamo primi per incidenza della spesa per pane e pasta (15,9%), un plauso va al fatto che anche per frutta e verdura svettiamo (21%), mentre invece siamo ultimi (5,8%) per gli alcolici. «Anche qui però – prosegue Alibo Russo – pesa la polarizzazione che premia chi ha redditi medi e alti e chi abita nelle regioni del nord». Comprensibile quindi che continuino a crescere prodotti che magari costano qualcosa in più come i cosiddetti “free from” (cioè senza sale, zuccheri, lattosio, ecc.), i prodotti etnici e quelli pronti per l’uso. Ma se si va più in dettaglio si scopre che, dopo aver sperimentato e provato, i consumatori alcune cose decidono di tenerle nel carrello e altre di eliminarle o almeno ridurle: così calano i prodotti a base di kamut o il tofu e il seitan.