I mercati finanziari mondiali valgono 647˙700 miliardi di dollari americani, che è la valuta standard con cui vengono fatti i calcoli a livello globale (1 dollaro vale 0,8 euro circa). Il Pil, prodotto interno lordo, del mondo intero è invece più piccolo: 72˙000 miliardi. Cioè i mercati finanziari valgono 9 volte il mondo concreto.
Significa che, se i mercati dovessero collassare per qualche motivo (una grossa crisi finanziaria, per esempio) il mondo intero dovrebbe lavorare 9 anni soltanto per pareggiare i debiti prodotti dai finanzieri.
Magari non è questa la spiegazione della crisi che stiamo vivendo, e che sta strozzando le economie di Paesi come la Grecia, la Spagna e, accidenti, anche l’Italia. Però non ci va lontano.
A fornire questi numeri è l’Isda, ovvero l’International Swaps and Derivates Association, un organismo internazionale di cui fanno parte le grandi istituzioni finanziarie (qualche informazione si trova qui sulla Wikipedia). La maggior parte di quella cifra è generata da prodotti finanziari «derivati», nel senso alla base hanno oggetti concreti – come stock di prodotti industriali, azioni o materie prime. Ma poi diventano «volatili», nel senso che su una piccola quantità di oggetti concreti si possono basare derivati, e derivati secondari sui recedenti, e derivati sui secondari… praticamente in maniera illimitata.
La maggior parte delle transazioni sui derivati non avviene in posti concreti, come le Borse. Il motivo è semplice: esse valgono troppo poco. Secondo ricerche dell’Isda stessa, il valore delle azioni di tutte le aziende del mondo quotate in Borsa è di 45˙900 miliardi di dollari. Cioè meno di 1/14 rispetto al totale dei mercati.
Tra chi muove questa montagna di soldi, ci sono banche d’affari come la statunitense JP Morgan, i cui dirigenti hanno però dimostrato di non essere tra i migliori controllori del sistema: nella primavera del 2012, infatti, hanno perso in pochi giorni 2 miliardi di dollari proprio maneggiando i derivati con scarsa perizia (ne ha parlato tra gli altri Morya Longo sul Sole24ore dello scorso 13 maggio).
Ma di controlli istituzionali sui derivati, in pratica non ce ne sono, sebbene praticamente tutti i politici, tutti i banchieri e tutti gli imprenditori del globo abbiano detto che darsi una regolata sarebbe meglio. Poi, però, non ha fatto niente nessuno.
Anzi, oltre a non fare niente sembra quasi che si siano messi tutti a giocarci, con i derivati. La cifra di 647˙700 miliardi di dollari costituisce l’ultimo rilevamento effettuato dall’Isda, nel 2011. Lo studio precedente aveva stimato il valore dei mercati in 466˙000 miliardi. Significa che, in pochi anni, il valore (nominale, perlomeno) dei derivati è aumentato di 180˙000 miliardi, cioè di 2 volte e mezza il Pil del mondo.
Come se chi manovrava i mercati non fosse a conoscenza della crisi finanziaria, i cui primi morsi sono cominciati nel 2008 quando il presidente degli Usa Barack Obama decise di sovvenzionare massicciamente le banche statunitensi piene di debiti.