L’Italia che non produce più automobili

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Nel 2013 in Italia sono state prodotte 388˙465 automobili, principalmente nelle 6 fabbriche del marchio Fca, cioè della ex Fiat. A costruirle sono stati circa 30˙000 lavoratori, coadiuvati da altri 200˙000 del settore indotto.

Sembrano tante? Non lo sono per niente. Un quarto di secolo fa le cifre erano ben diverse: nel 1989 le automobili prodotte da noi furono 1˙971˙969, cioè quasi 5 volte quelle odierne, e a produrle erano più di 200˙000 operai coadiuvati da più di 1 milione di dipendenti dell’indotto.

All’epoca l’Italia era la 5ª potenza industriale mondiale, oggi è diventata periferica.

I numeri di cui sto scrivendo provengono da uno studio pubblicato lo scorso 2 febbraio su Affari&Finanza da Salvatore Tropea, e rendono conto di una trasformazione potente già avvenuta e ancora in atto.

Se si guarda dietro la cortina della pubblicità delle auto sui mass media e dell’abitudine, si può capire che, 25 anni fa, il sindacato dei metalmeccanici era una forza reale di pressione per tutto il nostro Paese: se la Fiom e la Cgil decidevano uno sciopero, più di 1 milione di persone scendeva in piazza. E se la Fiat, principale azienda automobilistica nostrana, diceva di essere in crisi, una intera classe politica era quasi costretta a contribuire a risolverla concedendo casse integrazioni, pensionamenti agevolati e quant’altro si poteva inventare – per non rischiare di perdere milioni di voti.

Oggi, se Fiom e Cgil indicono uno sciopero passano quasi per rompiscatole il cui scopo è proteggere una casta minoritaria di lavoratori privilegiati – quelli che hanno ancora un contratto a tempo indeterminato. E perdipiù l’azienda in cui i loro iscritti lavorano ha perso parte della sua forza condizionante nei confronti della politica perché in pratica non è più un’azienda italiana: è entrata a far parte di un gruppo multinazionale, la Fca (Fiat Chrysler Automobiles) che gestisce le sue operazioni non più da Torino bensì dall’Olanda.

Se ancora pensiamo che l’Italia sia nell’élite mondiale dell’automobile, è perché la produzione non è crollata all’improvviso. Ci ha messo un po’ di anni, quasi 30. Nel 1989 producevamo quasi 2 milioni di auto, per scendere sotto il milione e mezzo (1˙402˙382 per la precisione) abbiamo dovuto aspettare il 1998. Sotto il milione (833˙678) siamo scesi nel 2004. Sotto il mezzo milione (485˙606) siamo scesi nel 2011. Sembra l’altro ieri.

L’industria dell’automobile è stata il volano del boom economico in occidente a partire dal secondo dopoguerra. Perché non significava soltanto autovetture, ma anche strade per farle circolare, e precise scelte di sviluppo in certi territori piuttosto che in altri. Laddove l’automobile non si produce più, occorre ripensare molte cose a livello di organizzazione sociale.

Negli Usa le auto si continuano a produrre, e si portano al traino il benessere economico nazionale. In Germania si continuano a produrre, e anche la Germania ha un’economia sana. In Cina si è cominciato a produrle, e anche per quel motivo i cinesi sono adesso la prima economia mondiale.

In Italia, ehm, di auto non se ne fanno quasi più.

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