Un prodotto alimentare su quattro evidenza la sua italianità in etichetta, garantita da un’indicazione geografica, presentato come “made in Italy”, fatto con ingredienti nazionali o segnalato come tipico di una regione.
Nel mondo l’Italia è sinonimo di buon cibo e qualità a tavola e anche per i consumatori italiani il tricolore rappresenta un valore aggiunto quando si tratta di scegliere mettere nel piatto. Secondo uno studio condotto dall’Osservatorio Immagino Nielsen GS1 Italy, il 25,1% dell’assortimento alimentare proposto da supermercati e ipermercati espone la sua l’italianità. Si tratta del fenomeno più importante e pervasivo del mass market nel food. Ed è anche il numero uno per giro d’affari, con una quota del 22,5% sul sell-out nazionale. Tra giugno 2017 e giugno 2018 le vendite dei prodotti connotati come italiani sono cresciute del 3,5%, arrivando a superare i 6,4 miliardi di euro e migliorando la performance ottenuta nei 12 mesi precedenti (+2,2%). L’elemento più utilizzato per connotare un prodotto come italiano resta la bandiera tricolore, che campeggia sul 14,3% dei prodotti e rappresenta il 13,9% del fatturato totale, e che, nel giro di un anno, ha più che raddoppiato il tasso di crescita (+3,0% contro il +1,2% dell’anno mobile precedente). Performance molto positiva anche per il secondo segmento, quello di quel 5,5% di prodotti etichettati con il claim “100% italiano”, che registrano un balzo in avanti dell’8,6% nel giro d’affari contro il +3,3% dei 12 mesi precedenti, grazie soprattutto a gelati, formaggi freschi (crescenza e mozzarella), merendine e carni confezionate. Positivi anche gli indici di crescita dei prodotti alimentari Dop e Igp e dei vini Doc e Docg: complessivamente rappresentano il 5,1% dell’offerta monitorata dall’Osservatorio Immagino e le loro vendite sono cresciute a tassi annui compresi tra il +5,2% (Dop) e il +7,2% (Doc). A trainare le vendite sono stati soprattutto i vini, gli spumanti charmat secchi e le “bollicine” metodo classico. L’unico dato negativo è quello relativo all’indicazione “prodotto in Italia”, che campeggia sul 10,8% dei prodotti e che, nell’anno finito a giugno 2018, ha visto calare le vendite del 3,1%, arrivando a pesare per il 6,4% sul sell-out totale, confermando il trend già evidenziato nel corso del 2017. L’Osservatorio Immagino ha misurato anche la presenza delle regioni sulle etichette dei prodotti alimentari e dei vini venduti in Italia. Un fenomeno importante e in continua espansione, in cui la regionalità si presenta come una sorta di italianità al quadrato, che fa leva sulle radicate tradizioni locali e sulle caratteristiche uniche del territorio italiano dal punto di vista morfologico, climatico, culturale e produttivo. Il primo posto nella classifica delle regioni più “comunicate in etichetta” continua a essere occupato dal Trentino-Alto Adige, leader sia per numero di prodotti su cui è presente (1,3% del totale monitorato) sia per giro d’affari (oltre 327 milioni di euro, +5,8% annuo), e rilevante soprattutto tra spumanti, vini, mele, mozzarelle e speck. Al secondo posto della classifica per regioni c’è la Toscana, con 217 milioni di euro di vendite (in crescita annua del 9,4%), generate soprattutto da vini, derivati del pomodoro e affettati. Al terzo posto si insedia la Sicilia, con oltre 246 milioni di euro di sell-out (+4,4%), realizzato in particolare con vino, yogurt e gelati. Nel drappello delle altre regioni si segnalano la crescita del 12,7% delle vendite dei prodotti che riportano in etichetta di essere originari della Puglia e il +9,7% del sell-out di quelli che arrivano dal Piemonte. Unico dato negativo spetta alla Lombardia: nell’anno finito a giugno 2018 i prodotti che la segnalano in etichetta hanno visto calare le vendite dello 0,3%.