Si potrebbe dire che non tutti i mali vengono per nuocere, se tra gli effetti della crisi economica che sta avviluppando anche l’Italia c’è il cambiamento di comportamento a tavola della gente: più parsimonioso e meno sciupone.
È quanto emerge dall’indagine «Dar da mangiare agli affamati. Le eccedenze alimentari come opportunità», presentata l’11 giugno scorso a Milano e realizzata dalla Fondazione per la Sussidiarietà e dal Politecnico di Milano in collaborazione con Nielsen Italia. Negli ultimi cinque anni, infatti, gli sprechi alimentari sono diminuiti del 66%, passando da una quota in valore di 37 miliardi di euro del 2007 agli attuali 12,3 miliardi di euro.
In altre parole, più di tre italiani su cinque hanno recuperato le vecchie abitudini delle «nonne» avvezze al risparmio, maestre del «non si butta via niente». Più che una nuova coscienza ecologica, a cambiare il nostro atteggiamento in cucina è proprio la necessità di «tagliare» le spese familiari, riducendo al minimo le eccedenze destinate a finire nel bidone e imparando l’arte del reinventare nuovi piatti a partire dagli avanzi.
Nonostante questa decisa inversione di rotta, però, nel Belpaese i numeri degli sprechi rimangono alti. Dal campo allo scaffale, infatti, circa un quinto della produzione agroalimentare italiana non viene consumata, per un totale di circa 6 milioni di tonnellate di eccedenze. In questo caso, a dimostrarsi i segmenti più virtuosi sono la produzione e la trasformazione, che rispetto alla distribuzione riescono a limitare il grande danno economico, ambientale e sociale che ne deriva.
A gettare nella pattumiera altrettanti 6 milioni di tonnellate di cibo sono i consumatori, responsabili di una perdita economica procapite di 117 euro l’anno, pari a 42 chili di alimenti a persona, tra avanzi non riutilizzati, cibi scaduti o andati a male. Il motivo fondamentale di queste cifre in ribasso è chiaramente di tipo economico. Basti pensare che – come rilevato recentemente da uno studio di Intesa San Paolo – nel 2011 il livello di spesa procapite degli italiani è ritornato quasi ai livelli del 1981. A dimostrazione che nel Belpaese oggi si «tira la cinghia» anche a tavola.
Ma se da una parte questi dati fotografano molto nitidamente uno degli effetti più eclatanti della generale difficoltà economica, che porta le famiglie a «tagliare» anche sul cibo e a diminuire di conseguenza lo spreco, dall’altra ci mostrano l’effetto ecologico della crisi: l’attenzione a «buttare» di meno riciclando sempre di più gli avanzi della tavola. I vantaggi ambientali di questo atteggiamento sono evidenti: una sola tonnellata di rifiuti alimentari genera fino a 4,2 tonnellate di CO2. Per questo è importante recuperare la vecchia propensione al risparmio che abbiamo dimenticato, ma che ha sempre fatto parte del nostro Dna.
Anche in questo modo possiamo fare della crisi un’occasione per riflettere sul nostro paradigma economico ed etico. Per esempio smettendo di considerare le eccedenze come rifiuti, quando invece molto spesso sono ancora utilizzabili e riciclabili.