Tanti anni di crisi hanno inevitabilmente cambiato la faccia al mondo del lavoro. Parola d’ordine? Cercare di adeguarsi. Anche per questo l’arte dell’arrangiarsi o meglio ancora del sapersi reinventare per non soccombere hanno di certo rappresentato un piccolo asso nella manica nella difficilissima partita contro la crisi che invece al suo arco ha più di qualche freccia.
APERTI AL CAMBIAMENTO – Il mondo dell’artigianato perde pezzi ma, proprio sulla scia di questa considerazione, si mostra aperto al rinnovamento e, dunque, molto dinamico. Non solo tradizione e antichi mestieri. Anche il settore da sempre fiore all’occhiello del made in Italy, si rinnova spalancando le porte a nuove imprese, come ad esempio quelle dei tatuatori. A raccontare l’evoluzione di questa fetta importante e centrale di mondo produttivo ci ha pensato la fotografia scattata da Unioncamere e InfoCamere sul cambiamento dei mestieri artigiani negli ultimi 5 anni. Il settore, che conta oltre 1,3 milioni di imprese, ne ha perse quasi 100mila tra il 2013 e il 2018
PIU’ TATUATORI, MENO ELETTRICISTI – Ai mestieri che sono spariti , dunque, se ne aggiunti di nuovi. A segno più ad esempio le imprese di pulizia e appunto quelle che si occupano di tatuaggi e piercing. Crescono pure i giardinieri e le agenzie per il disbrigo delle pratiche. Aumentano le imprese che confezionano accessori d’abbigliamento o le sartorie su misura, dove a far la voce grossa sono le donne, così come i designer, di moda e per il settore industriale. Si riducono invece le imprese di costruzioni e quelle che si occupano di ristrutturazione, i “padroncini” addetti ai trasporti su strada, gli elettricisti, i falegnami e i meccanici.
In termini percentuali, ad aumentare di più tra settembre 2013 e settembre 2018 sono i servizi di pulizia (45%). La presenza di giovani imprenditori cresce nelle attività di street food.
I dati di Unioncamere-InfoCamere fotografano un settore al galoppo: a fine 2017 il numero di imprese registrate ha superato quota 4mila, di cui un terzo a guida femminile. Sul podio Roma, Milano e Torino. Il Meridione alla rincorsa del Nord.
La mania del tatuaggio non accenna minimamente a fermarsi. Che sia per scolpire per sempre un caro ricordo, ricordare a vita un traguardo importante, dedicare un cuore eterno al proprio amore o anche solo migliorarsi esteticamente, sono sempre più gli italiani che scelgono di tatuarsi. E la proliferazione di imprese specializzate in una delle pratiche più antiche del mondo ne è una testimonianza diretta. Secondo i dati di un’analisi condotta da Unioncamere-InfoCamere sui dati del Registro delle imprese delle Camere di commercio, il numero di studi di piercing e tatuaggi ha toccato quota 4mila alla fine dello scorso anno, registrando un aumento di 2.700 unità rispetto al 2012. Un esercito di artisti della pelle concentrato prevalentemente nelle grandi città. Sul podio delle città con il numero maggiore di imprese registrate si piazzano infatti Roma (306), Milano (272) e Torino (216). Seguono diverse città medio-grandi del Nord come il duo Brescia-Bergamo, che conta 270 realtà, e del Centro-Italia dominato da Firenze (115). L’unica città del Mezzogiorno nella top ten è Napoli, dove si rilevano 104 studi. Salendo a livello regionale, la classifica dei primi tre posti vede al vertice la Lombardia (902 imprese), seguita a grande distanza da Lazio (440) ed Emilia-Romagna (373). Osservando la crescita nel periodo considerato, i dati mostrano invece una rincorsa delle regioni del Centro-Sud su quelle del Nord. L’aumento più marcato si registra infatti in Umbria, dove le imprese del settore sono passate da 10 a 73 in cinque anni. A seguire la Calabria, dove oggi i tatuatori sono quattro volte più numerosi rispetto al 2012 (da 12 a 64), e il tandem Basilicata- Molise, passati rispettivamente da sei a 28 e da quattro a 11. Da un punto di vista societario, il 94% delle aziende del settore risulta costituito nella forma di impresa individuale. Di questa stragrande maggioranza, il 31% delle realtà vede al timone in qualità di titolare una donna (percentuale più alta del 22% che rappresenta la media dell’imprenditoria femminile sul totale delle imprese italiane). Le donne sono più presenti nella classe più giovane (under 30) dove pesano per oltre il 35%, mentre gli uomini la fanno da padrone nella classe over 50, dove superano il 77%. I dati mostrano in generale una discreta presenza di imprese giovanili: la metà delle 4mila realtà presenti in Italia fa infatti riferimento ad aziende under 35.